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    La mustardela/2 - Città metropolitana di Torino
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    La mustardela - Città metropolitana di Torino
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    La preparazione della mustardela - Preparazione dei ciccioli - Giacomo Pettenati
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    La preparazione della mustardela - Preparazione dei ciccioli (2) - Giacomo Pettenati
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    La preparazione della mustardela - L'impasto - Giacomo Pettenati
  • 2018
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Categoria

Saperi Tecnici e Artigianali

Tag

DOVE

Torre Pellice, Piemonte - Italia

QUANDO

Inverno

CHI

Barolin Riccardo Barolin Riccardo
(macellaio)
Barolin Tatiana Barolin Tatiana
(ricercatore)
Eynard Walter Eynard Walter
(imprenditore)
Garnier Michel Garnier Michel
(macellaio)
Rosso Davide Rosso Davide
(ricercatore)
Turaglio Franco Turaglio Franco
(imprenditore)

Produzione della mustardela (o boudin) delle Valli Valdesi

(Boudin)

La mustardela è un salume insaccato di colore violaceo scuro, a forma di salsiccia allungata e leggermente ricurva (lunga circa 15-25 cm, diametro 5-6 cm e peso di 300-400 gr.), prodotto per utilizzare e valorizzare le parti più povere del maiale. Si ottiene facendo prima bollire le ossa e le parti della testa del suino assieme ad altri tagli di scarto (ad esempio gola, cotenna, lingua, fegato, polmoni e rognoni), poi disossandole e macinandole.
Tradizionalmente, e ancora oggi a livello casalingo, queste parti venivano fatte bollire su fuoco di legna in un paiolo di rame.
All'impasto vengono aggiunti il sangue fresco del maiale appena macellato, i “ciccioli” precedentemente prodotti facendo bollire il grasso del maiale, un soffritto composto solitamente da porri e cipolle, un po' di vino rosso (facoltativo) e una concia di spezie (di solito sale, pepe nero, cannella, noce moscata e chiodi di garofano).
Generalmente, la composizione della mustardela è data dal 15-20%  di carne magra, 20-30 % di carne grassa, 20-30 % di cotenna e 25-30% di sangue.
L’impasto viene insaccato in un budello naturale della forma di una salsiccia. Un tempo veniva fatta essiccare e consumata dopo essere fatta “rinvenire”, in acqua o latte e, fino ad alcune decine di anni fa, l’insaccato veniva venduto “crudo”, mentre attualmente viene bollito in acqua direttamente dal produttore e quasi sempre messo sottovuoto.
Si consuma cotta, solitamente affettata e accompagnata a piatti dal sapore neutro, come patate o polenta.
Si tratta di un prodotto strettamente legato alla tradizione montanara (che alcuni nella zona ritengono caratteristica soprattutto delle famiglie valdesi) tuttora esistente dell’allevamento e della macellazione casalinga del maiale (regolamentata dall’art. 13 del R. D. del 1928 n. 3298), chiamata fëstin dër courin in occitano (e festin dal crin in piemontese).
La preparazione della mustardela consente di utilizzare le parti non destinate ad altre preparazioni (salami o carne fresca). Il maiale viene oggi nella maggior parte dei casi acquistato da allevatori di pianura in autunno, nutrito per alcuni mesi soprattutto con gli scarti della cucina e della produzione (es. patate), per poi essere macellato all’inizio dell’inverno (tra dicembre e febbraio).
La macellazione avviene nella maggior parte dei casi con l’ausilio di macellai professionisti che sono chiamati a prestare il proprio servizio sotto compenso. Tipicamente i prodotti del maiale (soprattutto salami) vengono in parte suddivisi con amici e parenti.
Secondo Gisella e Walter Eynard (1996), tra i maggiori esperti della cucina delle valli valdesi, “era usanza che, durante il festin, spettasse al più anziano coordinare il lavoro e pesare e impastare le spezie per la confezione degli insaccati (…) I ragazzini avevano il compito di rimestare il maiale insieme al vino rosso. per evitarne la coagulazione. A questo scopo era uso che adoperassero un lungo bastone, alla cui cima erano legati dei porri”.
La mustardela è considerata dalle comunità locali un prodotto distintivo delle cosiddette valli valdesi (Chisone, Germanasca, Pellice e alcuni comuni del Pinerolese), ovvero le vallate in cui storicamente furono costretti all'esilio i fedeli della Chiesa Valdese, a causa delle politiche repressive del Regno di Savoia, durate fino al 1848.
In pianura e nelle altre vallate piemontesi, si preparano invece altre tipologie di sanguinacci e prodotti analoghi.
In seguito all’irrigidirsi delle normative sull’utilizzo del sangue e di altri derivati della lavorazione del maiale (frattaglie) e della diminuzione della pratica di allevare il maiale a livello familiare, la produzione di mustardela è stata a rischio di scomparsa. Anche se si faceva lo stesso e si commercializzava sottobanco, per il mercato locale.
A partire dagli anni 2000 Slow Food, che ha mostrato interesse nel definire le modalità di preparazione, raccogliendo i produttori intorno a un tavolo per costruire disciplinare e promuovere la costituzione dell’Associazione.
Attualmente il prodotto è protetto e valorizzato attraverso un disciplinare e tre marchi: Paniere dei Prodotti Tipici della Provincia di Torino, Presidio Slow Food e Prodotto Agroalimentare Tradizionale PAT. I marchi sono conferiti a cinque produttori, riuniti nell’Associazione Produttori della mustardela, distribuiti tra la Val Pellice, la Val Chisone e il Pinerolese.
Il riconoscimento del valore culturale della produzione di mustardela da parte di soggetti esterni (Slow Food ed ex Provincia di Torino) ha svolto un ruolo importante nel garantire la salvaguardia della produzione e la sua trasmissione, attraverso un disciplinare codificato, che si è affiancato alle dinamiche familiari di trasmissione orale.

NOTIZIE STORICO-CRITICHE

Le alte Valli Pellice, Chisone e Germanasca sono le uniche aree in Italia a essere popolate in prevalenza da protestanti, di culto valdese. La Chiesa valdese prende il suo nome dal mercante Valdo, che fondò intorno al 1170 il movimento dei Poveri di Lione, dopo la sua morte chiamati “valdesi”. I valdesi medioevali erano pauperisti, pacifisti, con una fede legata al testo biblico, letto e diffuso in lingua volgare, prima della Riforma Protestante. Nonostante la forte persecuzione da parte della Chiesa Cattolica, il movimento valdese riuscì a mantenersi vivo, soprattutto nell’area alpina occidentale. Nel 1532 i valdesi superstiti aderirono alla Riforma protestante e nel 1559 costituirono una Chiesa riformata indipendente. Nonostante ulteriori persecuzioni e periodi di esilio forzato (soprattutto nel XVII secolo), da allora e fino al 1848 (anno di concessione delle libertà civili a valdesi ed ebrei da parte di Carlo Alberto di Savoia) il culto valdese fu ammesso solo nel “ghetto alpino” delle alte valli Pellice, Chisone e Germanasca. Tali territori sono pertanto caratterizzati da una forte specificità culturale, che li distingue dalle vallate circostanti, in parte anche per quanto riguarda alcuni elementi del patrimonio culturale legato al cibo.
Nonostante non si possa parlare di una vera e propria “cucina valdese”, alcuni prodotti e alcune ricette sono identificate dagli stessi membri della comunità come caratterizzanti delle “valli valdesi” e in alcuni specificamente, anche se non in via esclusiva, delle famiglie di culto valdese che vivono in quei territori.
La mustardela è una di queste. Pur non esistendo documenti storici riconosciuti sull’origine di questo prodotto, le origini della produzione di questa particolare tipologia di sanguinaccio possono essere ricondotte alla tradizione culturale occitana, come testimonia la presenza di prodotti simili in altri territori dell’areale linguistico-culturale occitano.
Nelle valli valdesi, la sua ricetta si tramanda di generazione in generazione, adattandosi all’evolvere delle norme e dei gusti, per esempio er quanto riguarda la preparazione in senso stretto. Un tempo veniva fatta essiccare e consumata dopo essere fatta “rinvenire”, in acqua o latte e, fino ad alcune decine di anni fa, l’insaccato veniva venduto “crudo”, mentre attualmente viene bollito in acqua direttamente dal produttore e quasi sempre messo sottovuoto.
La ricetta è oggi codificata dal disciplinare che regola l’adesione all’Associazione dei Produttori della mustardela, che ammette tuttavia una certa flessibilità. La produzione casalinga è caratterizzata ovviamente da delle variazioni, ma si basa su una ricetta comune di base.
Un elemento rilevante riguarda la diffusione del nome mustardela, che ha affiancato quello tradizionale di boudìn, sostituendolo nelle accezioni ufficiali, per ritagliare uno specifico spazio di mercato al prodotto, distinguendolo dai boudìn (sanguinacci) prodotti altrove.

APPRENDIMENTO E TRASMISSIONE

Le tecniche di produzione e la ricetta della mustardela di produzione casalinga si trasmettono per tradizione familiare, anche se un ruolo fondamentale è svolto dal “sapere esperto” del macellaio professionista che nella maggior parte dei casi segue la macellazione e la lavorazione delle carni.
L’istituzione di un disciplinare ha codificato la produzione, seppur con alcune sfumature, da un lato favorendo l’accesso a questo sapere da parte di soggetti esterni, dall’altro chiudendo la possibilità di produrre la “vera” mustardela a chi propone ricette troppo distanti da quella del disciplinare.
 

COMUNITÀ

La mustardela è oggi percepita come uno degli elementi del patrimonio culturale alimentare legato al cibo che caratterizza la comunità valdese, connotata da un forte senso identitario, costruito intorno alla fede religiosa.
La comunità ufficiale dei portatori del sapere legato alla sua preparazione è quella dei macellai che costituiscono l’Associazione produttori della mustardela, aperta a nuovi ingressi a patto che rispettino il disciplinare stabilito in termini di modalità e areali di produzione.  
Le conoscenze e la pratica legate alla preparazione della mustardela sono parte anche del patrimonio familiare di molte famiglie delle valli valdesi, che continuano a considerarla uno dei prodotti irrinunciabili della macellazione casalinga del maiale e la consumano regolarmente, soprattutto in occasione di ricorrenze speciali.

AZIONI DI VALORIZZAZIONE

Le principali azioni di valorizzazione e aumento della consapevolezza del valore del sapere legato alla preparazione della mustardela sono state avviate in reazione agli ostacoli alla pratica di questo sapere legati alle normative igienico-sanitarie che, a partire dagli anni ’90, hanno iniziato a regolamentare in maniera rigida l’utilizzo dei prodotti derivati dalla macellazione animale, tra cui il sangue e le frattaglie, ingredienti base della mustardela.
Su impulso di una rete di attori locali, in particolare legati al mondo della gastronomia, Slow Food è stata una delle prime realtà ad attivarsi su scala locale e nazionale, sostenendo la creazione dell’Associazione dei produttori e istituendo, a fine anni ‘90 il presidio Mustardela delle valli valdesi.
Nei primi anni 2000 la mustardela è entrata anche a far parte del Paniere dei prodotti tipici della provincia di Torino, marchio creato dalla Provincia di Torino, ora Città metropolitana, per valorizzare i prodotti agroalimentari ed agricoli del territorio provinciale, identificati in base alle seguenti caratteristiche: 1) sono prodotti in maniera artigianale da produttori locali; 2)  appartengono alla tradizione storica locale; 3)  sono prodotti con materie prime locali; 4)   costituiscono una potenzialità per lo sviluppo locale.
Ogni ottobre, in occasione dei festeggiamenti per la discesa delle mandrie e delle greggi dall’alpeggio (Fîra d'la Calà), a Bobbio Pellice viene organizzata la Sagra della mustardela durante la quale vengono preparati diversi piatti a base di questo prodotto.

MISURE DI SALVAGUARDIA

I produttori dell’associazione produttori di mustardela che rispettano il disciplinare di produzione possono utilizzare tre  diversi marchi di qualità e/o origine geografica: Paniere dei prodotti tipici della Provincia di Torino, Presidio Slow Food e Prodotto agroalimentare tradizionale (PAT). Il marchio dell'Associazione Produttori di Mustardela può essere utilizzato solo dai produttori che rispettano il disciplinare di produzione.

Per sapere di più

Siti web

Bibliografia

  • Bruno Vittorio Chiaffredo
    Pane Quotidiano
    Alzani 2014
  • Pizzardi Gisella, Eynard Walter
    Supa barbetta e altre storie
    Vivalda 1996
  • Gosso Elisa
    La Beidana - La cucina delle Valli Valdesi. Dimensioni simboliche e culturali del cibo nella storia valdese
  • Eynard Walter, Pizzardi Gisella
    La cucina valdese
    Claudiana 2006

A cura di

Dislivelli - - Giacomo Pettenati

Supervisore scientifico

Giacomo Pettenati

Data di pubblicazione

02-JUL-2018 (Giacomo Pettenati)

Ultimo aggiornamento

28-SEP-2019 (Agostina Lavagnino)

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